I Wings of Steel sono una band di nuova generazione proveniente dagli States. Ci conforta sapere che, anche oggi, ci sono band che pur non cambiando una virgola e non inventando nulla riescono a proporre un lavoro da incorniciare. Grazie al nostro reporter d’assalto Mr.Fulvio andiamo a scoprire questo bel platter. Press Play on Tape!
WINGS OF STEEL, LE PREMESSE
Alcune considerazioni generali prima di parlare di questo lavoro. Recensione “tardiva” (il disco è di maggio 2023), la cui causa principale è l’opulenza abbinata alla scarsa qualità media: esce troppo materiale (spesso trascurabile) e pertanto diventa difficile ed inutile cercare di star dietro a tutto per non perdersi le poche uscite degne di nota. Ecco che allora le “scoperte” avvengono per caso ed inevitabilmente in ritardo. Per fortuna la buona musica non ha data di scadenza!
Come per i Crown Lands (scusate l’autocitazione) ci troviamo di nuovo di fronte ad un duo, ad una auto-produzione e ad un lavoro che si distingue grazie al combo produzione – suoni fuori dagli attuali e piatti standards mediocri. Ma soprattutto grazie a ciò che ultimamente è un grande assente, ovvero il songwriting ispirato: idee assemblate con cura e passione per la musica. In una parola qui ci sono “I Pezzi”!
Intendiamoci, a livello di genere musicale niente di nuovo sotto il sole, anzi: ci troviamo di fronte al classico metal ‘80s a stelle e strisce.
Ma ognuno di noi ha il suo “comfort food” e la cosa importante è che sia cucinato a dovere. Qualcuno, per questi gruppi che si rifanno fedelmente al metal del passato, si è scomodato a coniare l’ennesima etichetta “N.W.O.T.H.M.” (New Wave Of Traditional Heavy Metal). Direi che forse non era necessario, non evidenzia un nuovo genere musicale e non aiuta a distinguere le buone bands (poche) dalla pletora di banali replicanti (molti) presenti sulla piazza.
WINGS OF STEEL, L’ALBUM
Ok, ora veniamo finalmente a noi: i Wings Of Steel provengono da Los Angeles e sono di recente formazione: 2019. Sono un duo composto da Leo Unnermark alle vocals e Parker Halub alle chitarre. Esordiscono nel 2022 con un omonimo EP, ed ora arriva questo primo full lenght a titolo “Gates Of Twilight”, uscito a maggio del 2023. Qui Parker Halub si occupa di chitarre e basso, mentre le pelli sono accreditate a Mike Mahan, batterista dei Chasing Desolation, altra band di L.A. con connotazioni più modern Hard Rock.
Partirei ad inquadrare stilisticamente l’album dallo stile vocale: sempre sui registri alti ma con una espressività che si adatta perfettamente alla varietà stilistica dei brani. Si, perché questo lavoro, pur non brillando per originalità, spazia dai brani più Heavy, dove vocalmente si è portati a pensare subito a Michael Kiske, fino alle semi ballad o brani blueseggianti dove personalmente mi è venuto in mente il buon Michael Matijevic dei mitici e ben più melodici Steelheart: ascoltate “She Cries” o “Slave Of Sorrows” per farvi un’idea.
I BRANI
Farei ora un piccolo excursus tra i brani in scaletta, scomodando a paragone alcuni nomi del passato, utili più per spiegare il contesto che per confrontare. Dopo i primi 30 secondi dell’opener “Liar In Love” già si affacciano importanti referenze a nome Queensryche e Crimson Glory: nulla da aggiungere, tanto da ascoltare. Cambio di marcia con “Fall In Line”, si passa dal cadenzato all’accelerato e qui andiamo a scomodare i lidi dei Fifth Angel.
La successiva “Garden Of Eden” rallenta su coordinate quasi doomeggianti ricordando i Black Sabbath più moderni. “Cry Of The Damned” è il brano più orientato verso il power metal e Michael Kiske aleggia nell’aria. “She Cries” è una semi ballad con una parte centrale decisamente vitaminizzata: a mio avviso uno dei migliori brani che, come già detto, mi ha ricordato gli Steelheart. Con “Lady Of The Lust” e “Leather And Lace” si sterza (senza esagerare) verso l’hard blues ed i riferimenti che vengono in mente non possono che essere Whitesnake e, perché no, Great White.
VIDEO
“Slave Of Sorrows” è una power ballad con la voce in grande spolvero e, di nuovo, assonanze con il class metal degli Steelheart. La title track è un ottimo mid tempo in crescendo verso sonorità più corpose e con un ottimo assolo di chitarra. Degna chiusura con “Into The Sun”, epica e ricca di atmosfera con le twin guitars protagoniste in bella evidenza.
LE CONCLUSIONI DI MR.FULVIO
Raramente in una band agli esordi ci si trova di fronte ad un vocalist ed un chitarrista entrambi già così talentuosi. Anche l’autoproduzione è, a mio avviso, egregia ed è strano che l’album non sia uscito per una major label: viene da pensare che lo scouting di nuove band venga fatto più con la tastiera che con le orecchie, a caccia di realtà già affermate sui social e quindi con maggiori garanzie di incasso.
Disco per nostalgici? Forse, ma non solo: dategli una opportunità, sono sicuro che non ve ne pentirete!
Roberto geo il 29 Gennaio 2024
Grazje per questo puntuale ed utilissimo report, sempre alla ricerca del meglio.
Mic DJ il 29 Gennaio 2024
E grazie a te per il costante supporto!!