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Heavy Metal

Marquis De Sade: Passion Never Dies

today5 Agosto 2024 130

Sfondo
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I Marquis De Sade appartengono a quella categoria di band che definire di nicchia è un eufemismo. Qui si entra nel campo del mistico, e il nostro grandissimo reporter d’assalto Mr.Fulvio ci accompagna in questo viaggio stile Indiana Jones, alla ricerca di qualcosa di più di una semplice band. Press Play on Tape!

MARQUIS DE SADE, BREVE INTRO

Sono sempre affascinato dalle storie che riguardano gruppi o dischi dimenticati, sepolti dal tempo e poi, come per miracolo, riesumati a decenni di distanza. Credo che in pochi si ricordino dei Marquis De Sade, vera e propria meteora attiva agli albori della NWOBHM, scomparsi dopo un unico singolo (diventato un sacro graal per collezionisti) e un totale di cinque pezzi composti, di cui tre editi solamente su demo tape. Il loro recente ed inatteso ritorno discografico (2023) credo sia la giusta occasione per provare a raccontare qualcosa di interessante.

GLI ANNI DELLA NWOBHM

Alla fine degli anni ’70 – inizio anni ’80, la scena musicale londinese si apprestava a cambiare. Questo grazie all’avvento di un numero considerevole di nuove band accomunate dalle influenze dei grandi gruppi hard rock (Led Zeppelin, Deep Purple, Black Sabbath etc). La novità era l’interpretazione più moderna e aggressiva pur con mille diverse sfumature. A questo grande fermento fu assegnata l’etichetta N.W.O.B.H.M. (New Wave Of British Heavy Metal), movimento nel quale furono inserite band anche molto diverse tra loro ma accomunate dal medesimo spirito e dalla condivisione dei circuiti utilizzati per le esibizioni live.

Inutile citare i celebri nomi di chi poi si affermò a livello internazionale. Interessante invece andare a scavare nell’underground delle band, anche meritevoli, che finirono loro malgrado nell’oblio. I Marquis De Sade sono sicuramente un esempio calzante di questa categoria di “desaparecidos”.

Marquise de sade

MARQUIS DE SADE, NASCITA

Si formarono nel 1979 composti da due coppie di fratelli: Kevin (chitarra) e Gary Pope (batteria), in uscita dalla band Mixdix ed in cerca di nuovi compagni di avventura. Li trovarono in Pete (basso) e Kriss Gordelier (voce), reclutati grazie ad un annuncio su Melody Maker. A completare la formazione il tastierista “San Remo” (?!), probabilmente un nickname di sconosciuta (almeno a me) origine. Ebbero vita brevissima e si sciolsero nel 1982 senza particolari motivi, semplicemente, come da loro ammissione, smisero gradualmente di provare e la fiamma si affievolì da sola.

Fecero comunque in tempo a rilasciare il singolo “Somewhere up in the Mountains / Black Angel”, vinile che oggi, in buono stato di conservazione, ha quotazioni anche a quattro cifre. Non sempre le quotazioni viaggiano di pari passo con la qualità, in questo caso però ci troviamo di fronte ad una proposta indubbiamente interessante pur se grezza ed acerba come in ogni band agli esordi. Sul lato “A” troviamo un brano atmosferico e “progheggiante” con un vago sentore epico a rappresentare il lato più melodico e creativo della NWOBHM.

Più aggressivo il lato “B” molto ritmato e vario, con inserti di synth, acuti vocali e un ottimo guitar solo.

DIVENNERO SUBITO UNA CULT BAND

Grandi potenzialità, poi non espresse, che furono comunque sufficienti a far entrare i Marquis De Sade nel novero delle band di culto. Il resto del materiale edito in quegli anni si limita a tre ulteriori brani: “Welcome to the Graveyard”, “London Air” e “Living in the Ice Age”. Questi trovano posto su un demo tape di quattro pezzi unitamente ad una vecchia versione di “Somewhere up in the Mountains”, appartenente al vecchio repertorio dei “Mixdix”.

I pezzi presenti sul demo non sono meno interessanti di quelli scelti per il singolo: emerge un approccio più immediato ed istintivo in “Welcome to the Graveyard” e “London Air” (Maideniane fino al midollo), mentre prevalgono le atmosfere ed i synth negli oltre otto minuti di “Living in the Ice Age”, anch’essa comunque non priva di momenti più vitaminizzati.
Dovessi esprimere una personale sintesi stilistica del gruppo direi che nei pezzi più immediati possono essere definiti come un mix tra i primi Iron Maiden e gli Angel Witch con il rinforzo delle tastiere, mentre nei brani vagamente prog e di atmosfera si esprimono in modo più creativo e personale. Sicuramente avrebbero meritato miglior fortuna.

MARQUIS DE SADE, HIGH ROLLER YEARS

Anno 2012: High Roller Records e Rinascita! Mai dire mai, la fiamma si era affievolita ma certe passioni sono difficili da spegnere definitivamente, con buona pace dei numerosi detrattori del genere musicale a noi più caro. Nel 2012 la High Roller Records contatta la band per avere i necessari diritti a pubblicare, su vinile in tiratura limitata, il materiale edito negli ‘80s. Nel 2015 sarà pubblicata anche la versione in CD poi ulteriormente ristampata nel 2020.

Sia il vinile che il CD contengono tutto il materiale prodotto negli anni’80 per un totale di sei brani (con le due versioni di “Somewhere up in the Mountains”). Il buon interesse suscitato dalle pubblicazioni stimola la rinascita della band che si riforma nel 2019 con tre su cinque componenti originali (voce, basso, batteria) ed i nuovi innesti Pauly Gordelier (il terzo fratello) alla chitarra e Giles “Doc” Holland alle tastiere. La nuova formazione, oltre a rinnovare il vecchio materiale, genera idee per un futuro nuovo lavoro che vedrà la luce nel 2023.

MARQUIS DE SADE: CHAPTER II

Ed eccoci a “Chapter II”. Nonostante il titolo possiamo incredibilmente parlare di album di esordio dopo 44 anni dalla fondazione del gruppo! E’ proprio vero, mai smettere di crederci…

VIDEO

La curiosità di capire come suona è tanta e la speranza che sia stato preservato il DNA della band è altrettanta. Il primo dato confortante è un aspetto tecnico: sono stati generati due mix e due master separati per le diverse esigenze delle versioni in vinile e in CD. Una premura rara che denota un’attenzione alla cura dei suoni veramente di altri tempi. Il disco, pubblicato dall’etichetta tedesca Golden Core Records, contiene nove brani di meno o più recente composizione ma comunque inediti, ad eccezione del brano di chiusura “Living in the Ice Age” già presente sul vecchio demo tape e qui proposto in una nuova versione.

In generale si nota come i nuovi innesti, in particolare l’ottimo tastierista Giles Holland, abbiano parzialmente spostato il baricentro del suono verso un hard rock “hammond oriented” che trova i suoi maestri in gruppi quali gli Uriah Heep o parzialmente in alcune cose dei conterranei Magnum. Personalmente non lo considero un difetto ma una naturale evoluzione che non snatura le inclinazioni NWOBHM della band, volutamente preservate e comunque ancora ben tangibili.

L’album si presenta quindi come un riuscito mix di metal ed hard rock con propensione velatamente prog: il classico sound “antico” che orgogliosamente resiste al trascorrere del tempo ed appare tutt’altro che superato. Le composizioni sono tutte mediamente complesse e dense di atmosfera, non banali e quindi di non immediata assimilazione. Curiosamente, a mio avviso, il disco gioca le sue carte migliori alla fine, dove sono stati relegati i tre brani più lunghi ma che paradossalmente scorrono anche meglio dei precedenti, restituendo nel modo migliore l’identità della band.

Nei primi sei brani, comunque ottimi, sembra non esserci la stessa energia, la stessa convinzione.
Di questo aspetto ricercherei la causa nella voce, a mio avviso più propensa alla teatralità che alla duttilità: di conseguenza non è la voce ad adattarsi ai brani ma bensì solo alcuni pezzi riescono ad adattarsi alla perfezione all’impostazione vocale.
In sintesi ci troviamo comunque di fronte ad un ritorno sulle scene sorprendente, curato ed ambizioso, che merita la dovuta attenzione.

RIFLESSIONI DI MR.FULVIO

La storia dei Marquis De Sade suona come una sorta di lezione sulla passione per la musica: può appassire, sonnecchiare anche per lunghi periodi, ma è sempre pronta a tornare prepotentemente alla ribalta nelle nostre vite, di musicisti ma anche di semplici appassionati. L’invito è quello di ascoltare i lavori dei Marquis De Sade, il nuovo album ma anche il vecchio materiale, ora facilmente reperibile per un interessante confronto tra quelle che, di fatto, sono musicalmente due diverse “ere geologiche”. Sono consapevole che stiamo praticamente parlando di archeologia musicale ma bene o male dobbiamo ammettere che, pour parler.., Indiana Jones è riuscito comunque ad appassionarci un po’ tutti, giusto? Questa volta ne vale di nuovo la pena…

Scritto da: Mic DJ

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