I Lionheart sono una band Londinese che sta decisamente fuori dai riflettori delle mode. E’ un nome che i più scafati certo conoscono, ma che non è mai stato sulle prime pagine delle riviste del settore. E chi meglio del nostro reporter d’assalto Mr.Fulvio può guidarci in un viaggio alla scoperta di queste gemme nascoste?
LIONHEART: PREFAZIONE
Scrivere di musica non per professione ma per diletto, come saltuario passatempo, implica a mio avviso il dovere morale di cercare argomenti e artisti poco considerati dalla stampa mainstream. L’obiettivo è quello di rendere un minimo di giustizia a chi la merita, in un mondo musicale ormai guidato da “logiche” discutibili dove la qualità diventa spesso un optional. Questa volta l’orecchio è caduto sul nuovo lavoro dei Lionheart, band certo non sconosciuta e non di primo pelo ma sempre, a mio avviso, piuttosto trascurata.
LIONHEART, CENNI STORICI
La band nasce a Londra nel 1980 con una formazione che oggi, con il senno di poi, potremmo tranquillamente definire un supergruppo. Protagonista principale è sicuramente il chitarrista Dennis Stratton che, dopo la sua presenza sul mitologico debutto degli Iron Maiden, darà vita a questa creatura preservandola fino ai giorni nostri. Iniziali suoi compagni di viaggio il cantante Jess Cox (in uscita dai Tygers Of Pan Tang), il batterista Frank Noon (in uscita dai Def Leppard), il bassista Rocky Newton e il secondo chitarrista Steve Mann entrambi futuri membri del Michael Schenker Group. Da segnalare anche la successiva presenza di Steve Mann su un disco di culto della N.W.O.B.H.M., quel “Rough Justice” dei mitici Tytan (1985).
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GLI ESORDI
I Lionheart, dediti ad un classico British melodic rock, registrano l’album d’esordio “Hot Tonight” nel 1984. Di qui proseguono, tra vari avvicendamenti di formazione, fino al 1986 quando si sciolgono in assenza dello sperato successo. Dennis Stratton entra così in pianta stabile nei Praying Mantis insieme all’altro ex Maiden della prima ora Paul Di’Anno. Dopo un buco temporale di circa 30 anni, nel 2016 la band è invitata a suonare al Rockingham Festival di Nottingham. Entra a far parte della formazione il talentuoso cantante Lee Small forse più conosciuto per la sua militanza negli Shy e nel progetto Phenomena.
I riscontri positivi dello show di Nottingham convincono la band a proseguire. Rinascono così con la registrazione del secondo album “Second Nature” (2017) e del successivo “The Reality Of Miracles” (2020). Fresco di stampa il nuovo “The Grace Of A Dragonfly” (23 febbraio 2024) di cui andiamo ora a parlare.
LIONHEART – THE GRACE OF A DRAGONFLY
L’album esce per l’etichetta Metalville Records e la formazione vede i membri storici Stratton/Mann/Newton abbinati al cantante Lee Small e al batterista Clive Edwards (Pat Travers, Uli Jon Roth). Pur non essendo un concept album, i testi dei brani sono incentrati sul tema del secondo conflitto mondiale e delle sue implicazioni, lanciando un chiaro messaggio contro le guerre. Eloquente in tal senso il titolo dell’ultimo brano “Remembrance, Praying For World Peace”. Musicalmente ci troviamo di fronte a un riuscito mix di hard rock e metal molto melodico confezionato da mani esperte. C’è quel tocco British che solo chi ha vissuto l’epoca della N.W.O.B.H.M. è in grado, a mio avviso, di dare.
La cosa che mi ha favorevolmente colpito è che l’album è pensato bene nella sua integrità: brani con cori e ritornelli accattivanti, ottimi arrangiamenti e sequenza dei pezzi (ritmati/medi/lenti) veramente azzeccata. Dovrebbe essere la ricetta base di ogni album da porre all’attenzione del mondo. Purtroppo, la storia recente ci restituisce spesso ben altre realtà.
Altro aspetto da sottolineare è come questo songwriting fresco e coinvolgente provenga da artisti con una lunga militanza alle spalle, ma evidentemente ancora con lo stimolo di creare nuova buona musica invece di sedersi sugli allori. Questa cosa è tutt’altro che scontata e gli esempi in merito ultimamente si sprecano. Cosa dire ancora: le chitarre di Stratton e Mann duettano e duellano a meraviglia e la prestazione vocale di Lee Small è veramente maiuscola. Inutile citare i brani migliori, è un lavoro che va assaporato nella sua interezza, senza interruzioni.
CONCLUSIONI DI MR.FULVIO
Non posso che consigliare vivamente questo album senza tempo, elegante e raffinato, al contempo vario e uniforme. Il fatto di aver premuto nuovamente il tasto “Play” immediatamente dopo il primo ascolto mi ha riportato indietro nel tempo, quando questa cosa avveniva con una frequenza decisamente maggiore. Ne è conseguita questa riflessione: sicuramente invecchiando viene meno un po’ di appetito ma spesso la colpa è anche del menù!
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