Gli Alcatrazz sono una band che dal lontano 1983 calca le scene del Metal mondiale, con all’attivo solo 5 album, tutti qualitativamente pazzeschi. In questo 2023 vede la luce il loro sesto lavoro in studio, intitolato “Take no Prisoners”. Andiamo a sentire insieme come suona questo loro nuovo album. Press Play on Tape!
ALCATRAZZ, UN PO DI STORIA
La band nasce nel 1983 grazie allo storico trio Graham Bonnet, Jimmy Waldo e Gary Shea. A questi tre energumeni si uniscono il mai troppo compianto Clive Burr, appena uscito dai Maiden, e il talentuoso mostro della sei corde Yngwie Malmsteen, che aveva lasciato la band metal americana Steeler. La permanenza di Burr fu un lampo, sostituito presto da Jan Uvena degli Iron Butterfly. Con questa formazione danno alla luce il leggendario “No Parole from Rock ‘n’ Roll”, che rimase 18 settimane nelle classifiche di Billboard.
Nel 1985 esce “Disturbing the Peace”, disco che vede l’esplosione dell’astro nascente Steve Vai, chiamato a sostituire Malmsteen. L’album è una potenza, anche se non raggiunse il successo del precedente lavoro. Vai lasciò presto la band, per unirsi a David Lee Roth, e fu sostituito da Danny Johnson, con il quale incisero, nel 1986, il platter “Dangerous Games”. Scoraggiati dai continui cambi di formazione e dallo scarso successo nelle vendite, la band nel 1987 decise di sciogliersi.
Gli anni passarono silenziosi fino ad arrivare al 2020, anno in cui la band annunciò il suo ritorno. Il cambiamento più significativo fu l’abbandono di Bonnet, sostituito dall’ugola di Doogie White. In questo periodo si vennero a creare due band dallo stesso nome: quelli classici e quelli di Grahm Bonnet. La formazione “storica” uscì in quell’anno con il disco “Born Innocent”, mentre l’anno successivo vide la luce “V”, il quinto lavoro del gruppo.
ALCATRAZZ, TAKE NO PRISONERS
Questo sesto disco, lo dico senza giri di parole, è una bomba. Tutti i pezzi sono carismatici e incisivi, perfetta fusione del classico rock americano con il metal britannico d’annata. Il disco parte sornione, con le iniziali “Little Viper” e “Don’t Get Mad…Get Even” che sono messi li a scaldare le orecchie degli ascoltatori. Si, perché è dalla terza traccia “Battlelines” che si cade dalla sedia. Riff mastodontici che ci riportano diretti negli anni ottanta, quando l’Heavy Metal era una cosa seria. Nemmeno il tempo di riprendere fiato che “Strangers” ci abbraccia calda, in una spirale di suoni ed emozioni incredibili. Una ballad di altre ere geologiche, quando il sentimento sfociava in aperture epiche.
“Gates of Destiny” è la canzone che mi ha fatto innamorare di questo lavoro: cavalcate 100% Heavy si alternano ad aperture melodiche mai scontate, per arrivare ad un ritornello da saltare in piedi sulla sedia a cantare a squarciagola. Capolavoro è l’unica parola che mi viene per descrivere questo pezzo. Dopo una canzone simile la cosa migliore è non mollare la presa sul collo, e “Alcatrazz” fa esattamente questo: ci toglie il fiato. Un viaggio a rotta di collo dentro le spirali dell’Heavy più cristallino, cose che ai giorni d’oggi non si si suonano quasi più, almeno non con questa classe.
PUSH THE PEDAL TO THE METAL
Questo è un modo tutto anglosassone di rendere il concetto di “Spingere a tavoletta”, affondare il pedale fino a farlo arrivare a toccare il pavimento della macchina. E questo è ciò che fanno gli Alcatrazz con la seguente “Holy Roller (Love’s Temple)”, non veloce come la precedente ma con un songwriting pazzesco. “Power in Number” è metallo che gronda da una fonderia, possente, con assoli di chitarra distruttivi, quasi il Malmsteen degli anni ottanta si fosse impossessato della sei corde.
“Salute the Colours” ci piglia a calci con un’introduzione di chitarra stridula, per poi regolarsi su un mid tempo folle, granitico, nello stile dei pezzi che resero immortale Ronnie James Dio. “Bring on the Rawk” chiude un disco stratosferico, e lo fa nell’unico modo concepibile per un lavoro simile. Velocità della luce, melodia mai ruffiana, riffing assassino e una sfida di assoli tra tastiere e chitarra che ci fanno viaggiare nel tempo a ottantotto miglia orarie. Spettacolo totale.
RIFLESSIONI DI MIC DJ
Non servono molti giri di parole: “Take No Prisoners” è un’esperienza di ascolto veramente emozionante. I riff sono pesanti, il drumming è perfetto, ci sono assoli di chitarra dannatamente old school, così tanto bistrattati nei tempi moderni, dove quella sana dose di “ignoranza”, se mi permettete il termine, pare quasi proibita.
Anche questa volta il nostro grande Mr.Fulvio si è precipitato a divorare letteralmente l’album, dandoci un suo bello e personale giudizio. Queste le sue considerazioni: “Ascoltato, finalmente. In sintesi: i primi due brani secondo me sono insipidi, poi dal terzo brano decolla! Una bomba! Chitarre roboanti, a tratti maestose, tastiere alla Purple mai troppo invasive e la voce che a tratti mi ricorda il Gillan del periodo “Born Again”. E poi i pezzi ci sono alla grande! Quindi, volendo, un bell’album di hard rock con le palle si può ancora fare! “Don’t stop Believin’ (cit. Journey). Però i “filler”, se proprio ci devono essere, meglio in mezzo o alla fine, non all’inizio. Sinceramente non capisco… O forse è solo questione di gusti personali e sbaglio tutto!”
Che dire ancora, le canzoni sono vere gemme di Metal con la M maiuscola. Per ora, in questo 2023, questo album è il più grande esempio di Heavy Metal suonato alla vecchia maniera. Non tutti potranno pensarla in questo modo, ma non importa perché la musica emoziona sempre in maniera diversa. “Take No Prisoners”, una promessa che è sicuramente stata mantenuta!
Mic DJ vi saluta e vi da appuntamento qui in radio, tra articoli e tanta buona musica. Ora qualche consiglio per voi direttamente da Jolly Roger Radio.
Iron Maiden – I miei compagni di viaggio
Tygers Of Pan Tang – Bloodlines
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