I LES LONGS ADIEUX tornano più in palla che mai: in questa prima tranche del 2024 sfornano un nuovo album intitolato “Vertigo”. Andiamo a sentire cosa si sono inventati questa volta! Press Play on Tape!
LES LONGS ADIEUX, CHI SONO
I Les Longs Adieux sono una band cangiante, istrionica, che è tornata da qualche tempo al monicher in lingua francese dopo una parentesi italica ovviamente chiamata “Il Lungo Addio”. Nati in piena pandemia, anno domini 2020, viaggiano in un tunnel di oscurità e ricerca del bello, del dipingere con l’arte della musica dei dipinti spesso decadenti.
Prima di approcciarmi a questo lavoro ho voluto andare ad ascoltare qualcosa della loro precedente discografia, che consta in un EP, in un Full e in alcuni singoli. Mi sono trovato davanti una creatura cangiante, multiforme. La band, nella sua bio, dice che Procession Magazine li definisce “a strange mix of new wave and electro with echoes of 80s dance floor fillers with a revisited aesthetic of Post Punk fashion“. Lo trovo un modo ruffiano di inserire in uno scatolone mille generi senza dire niente. Sono troppo estremo? Può darsi, ma io sono un ascoltatore di musica, un appassionato e spesso queste frasi paraboliche e stratificate mi danno l’idea di “Ho ascoltato 3 pezzi alla veloce, ci do una bella etichettona e ci faccio un figurone”.
LES LONGS ADIEUX: VERTIGO
Andiamo a scoprire insieme cosa chi hanno confezionato questi Les Longs Adieux, ovvero Federica Garenna (voci, chitarre, synth e programming) e Frank Marrelli (chitarre, ebow, percussioni programmate varie). L’artwork è evocativo, dal basso all’alto, siamo sotto una delle Twin Tower. Sono il simbolo prima dell’escalation della economy a stelle e strisce e dopo del terrorismo inteso in senso lato e forse superficiale del termine. La band stessa ci racconta che il tema portante del lavoro è proprio quella data, 11 settembre. E’ intesa come metafora stessa del crollo di punti di riferimento, delle certezze di tutti i giorni. Quell’evento, che ha indelebilmente segnato la storia, sarà il filo conduttore ad un disco che esprime ansia, paura, emozioni forti e tinte davvero cupe.
In questo contesto “Sky Lobby” ci accoglie con la sua atmosfera Dark Wave, da quasi l’idea di sentire in bocca la polvere e le macerie. La voce è greve, seppur femminile. Tutto molto chiaro, pulito, semplice ma tremendamente efficace. “Flight 175″ mette l’ansia addosso sin dal suo principio. Parliamo del secondo aereo dirottato in quel nefasto giorno, quello che si schiantò contro la torre sud. ” Antenna” è più aperta, è dannatamente dark anni ottanta nel senso più totale del termine. Lo è dai suoni ai giri, con quel sound impastato ed elettronico del rullante che insegue la cassa, mentre le tastiere ricamano melodie e le chitarre arpeggiano tristi. La voce è una ciliegina, quel quid che porta la canzone ancora più in alto. The Cure, è questo il nome che mi viene in mente ascoltando questo bellissimo pezzo che si rivelerà il più lungo di tutto il platter.
VIDEO
UN ASCOLTO, UN VIAGGIO
“Falling Man” ci riporta nel vortice del dramma. Lo fa con dei suoni che si discostano da tutto. Pare di sentire un pezzo di inizio anni 90, con i sequencer e i campioni a 16 bit, con quel suono asciutto, poco aperto, appena pannati il giusto. Il mood passa ancora più marziale e severo nella seguente “Gander”, paese divenuto di colpo famoso poco dopo i due schianti contro le torri. Lo spazio aereo statunitenense fu chiuso e tutti gli aerei furono dirottati verso il Canada, ben 38 in questo semi sconosciuto paese che contava meno di nove mila abitanti.
“Windows On The World” pittura una sorta di calore, come se dalle finestre delle torri il sole venga sostituito di colpo dalle fiamme dei molteplici incendi che si andarono a sviluppare dopo l’impatto. Sembra di sentire arrivare la tragedia, dove non c’è nessuna possibilità di fuga. In “The Two Sides Of The Sky” il ritmo sale di nuovo, dando sempre l’impressione di non avere scampo. Il vortice emozionale è agli apici con la frase “I can’t breath and i can’t escape”, frase che fa veramente fermare il fiato nei polmoni.
“Molten Metal”, ci trova in ginocchio, con gli occhi rivolti al cielo. Le parole sono macigni che cadono dall’alto, sono la polvere che non ti permette di vedere dove stai correndo. Sono le urla delle persone che corrono all’impazzata, il suono sordo della caduta, della sconfitta. La conclusiva “Man Of The Clouds” mi richiama alla mente qualcosa perfino degli Art of Noise, ma con un incipit più Dark anni ottanta. La degna conclusione di un disco di livello assoluto, di un viaggio dentro le emozioni più oscure dell’animo umano
RIFLESSIONI DI MIC DJ
Che dire di più di questi Les Longs Adieux? Se non avete i paraocchi e se l’assenza di chitarroni compressi per voi non è un problema ascoltate con il cuore libero questo lavoro. VI restituirà emozioni e pelle d’oca in questo viaggio nel tempo, non solo per il tema trattato ma per come è stato musicato. Un viaggio nel tempo con il cerone bianco in faccia e i capelli neri sparati in testa, mentre tutto crolla intorno.
Roberto geo il 26 Giugno 2024
Molto poetico ed efficace nella descrizione dei brani. Articolo molto interessante. Grazie
Mic DJ il 26 Giugno 2024
grazie a te per il bel commento!!