Il Black Album dei Metallica, chi non lo conosce? Uno dei pochissimi dischi di Metal universalmente noto, anche solo per qualche pezzo, anche da chi ascolta il pop più easy e spudorato. Questo fatto ha da sempre creato una spaccatura nella comunità di Metallari, visto che la frangia più conservatrice non ha mai visto di buon occhio queste situazioni. Ma c’è molto di più dietro questo album, almeno per il sottoscritto. Non ho mai avuto paraocchi ne pregiudizi e, a distanza di oltre 30 anni, è giunto il momento di ragionare sul valore di questo album.
BLACK ALBUM, MADE IN 1991
Nell’Agosto del 1991, esce “Metallica”, quinto album della band. L’intento iniziale era quello di chiamarlo semplicemente “Five”, ma col tempo questa semplificazione portò a quella geniale copertina. Il colore scelto fu nero pece, con appena percettibili il nome della band e un serpente attorcigliato derivato dalla bandiera di Gadsden in basso a destra. Fu subito soprannominato a livello universale “Black Album”.
I Metallica aveva da poco terminato il tour di “…And Justice for all”, considerato l’album più tecnico della band. Essi notarono, durante la tournée, che c’erano diverse cose che non andavano. In primis i pezzi dell’album, decisamente tecnici se paragonati al resto della produzione, richiedevano una certa concentrazione per essere eseguiti live. In secondo luogo le canzoni, mediamente lunghe, tendevano ad annoiare il pubblico, il quale restava particolarmente freddo. Si doveva invertire la rotta.
BOB ROCK, L’UOMO DIETRO IL BLACK ALBUM
Lars Ulrich non ci dormiva la notte. Dal primo giorno in cui ascoltò “Dr.Feelgood” dei Motley Crue, iniziò probabilmente a perdere i capelli e a soffrire di schizofrenia. Il suono di quell’album era mostruoso: pieno, corposo ma pulito. Nessuno strumento prevaleva su un altro, il tutto con una botta che ti faceva cadere dalla sedia. Ok, probabilmente sarebbe bastato che il drummer non mettesse mano alla produzione di “…And Justice”, annullando il basso e facendo un setting criminale delle basse frequenze. Ma ormai era tardi, il risultato è alle orecchie di tutti, e per me quello resta uno degli album col suono peggiore della storia (forse solo St.Anger riesce a fare peggio).
Lars fece sentire come cazzo suonava quel platter agli altri componenti e tutti restarono di sasso. La soluzione era semplice: chiamare Bob Rock e lavorare con lui. Ma come in molte cose della vita, la soluzione più semplice si rivela in seguito la più difficile da seguire. Gran parte delle canzoni erano state scritte quando arrivò il produttore canadese. Bob Rock, dopo un primo ascolto, semplicemente disse ai 4 Horsemen che avrebbero dovuto rifare tutto, cambiando completamente approccio.
BLACK ALBUM, SI CAMBIA MUSICA
La prima sfida fu dover suonare tutti insieme e non, come in precedenza, ognuno per i fatti propri. Per i Metallica, abituati ad incidere sessione ritmica James & Lars, per poi darla ai restanti membri del gruppo affinché facessero il loro compitino, fu un trauma. Lars dovette imparare a suonare con il click in cuffia, con l’input del produttore di semplificare le parti di batteria. Ad Hetfield fu chiesto di usare meglio la voce e di scrivere testi più maturi e musicali.
Bob Rock, ovunque ha messo mano, ha creato lavori di assoluto livello. Con l’esperienza maturata credeva sarebbe stato facile lavorare coi Metallica ma si dovette ricredere in fretta. L’atmosfera in sala era spesso tesissima, i litigi all’ordine del giorno. Dalla sua la band aveva un’ottima attitudine al lavoro, ma un pessimo metodo.
L’unico veramente entusiasta era Jason Newsted: finalmente le sue parti di basso si sentivano, ed ebbe carta bianca nel creare una vera e propria sessione ritmica e non solo un semplice accompagnamento. Ma il lavoro era lungi dall’essere terminato.
BOB ROCK E IL PERFEZIONISMO
Finite le prime registrazioni, il produttore Canadese disse alla band di registrare nuovamente tutti i pezzi. Spiegò che per ottenere il sound che aveva in mente necessitava di più registrazioni, per stratificare e strutturare tutto il lavoro. Ovviamente questo “Take Two” fornì registrazioni differenti, e una terza sessione di registrazione ancora altre. La band era una bomba pronta ad esplodere, viveva praticamente segregata in studio e la cosa mandò a rotoli i matrimoni di Ulrich, Hammett e Newsted.
A lavoro ultimato, Bob Rock iniziò a perfezionare i piccoli dettagli, come l’aggiunta dei violoncelli in “The Unforgiven” e l’orchestra in “Nothing Else Matters”. Ebbe anche la geniale idea di porre un’intro al pezzo “Wherever I May Roam”, facendo suonare il Sitar a James e utilizzando un gong.
L’album era pronto: un anno di lavoro e un milione di dollari di spesa, oltre allo stress mostruoso accumulato tra Bob e i 4 Horsemen. L’esperienza di registrazione fu così stressante che Rock giurò che non avrebbe più lavorato con la band, anche se poi il loro sodalizio durò ancora parecchi anni.
BLACK ALBUM
Come suona il Black Album lo sapete tutti, e scrivere un track by track sarebbe la cosa più inutile della storia. Il disco, rilasciato il 12 Agosto, raggiunse di botto la numero uno di Billboard, diventando disco di platino in due settimane. Nel tempo uscirono cinque singoli, tutti accompagnati da rispettivo video, e tutti ebbero un successo pazzesco. I numeri di vendita sono tutt’ora clamorosi (siamo a 31 milioni di copie fisiche) e in crescita: l’unico dato fisso, che non potrà più aumentare, è il numero di edizione in cassetta, che ammonta a 5,8 milioni di copie.
L’album aprì un nuovo modo di suonare e intendere il Thrash Metal, e in quel 1991 piacque a tutti i metallari in circolazione. Ricordo benissimo le mascelle spalancate degli ascoltatori in chiodo e borchie, me compreso. E’ vero, il platter è decisamente più semplice dei due precedenti lavori, meno veloce di “Kill ‘em All”, meno oscuro di “Ride the Lightning”. Ma suonava fottutamente bene.
La band ha solo suonato più semplice, e qualcuno anni prima disse che “Less is more”. A detta della band, le canzoni di “Justice” erano troppo lunghe e complesse. Hetfield ammise che “avevamo praticamente fatto il format delle canzoni noiose fino alla morte” e considerò un buon cambiamento comporre brani con solo due riff e “impiegare solo due minuti per capire tutto”. Ulrich aggiunse che la band sentiva da sempre una grande insicurezza musicale: “Ci sentivamo inadeguati come musicisti e come cantautori. Questo ci ha fatto andare troppo oltre con “Master of Puppets” and “Justice”, nella direzione di provare a metterci alla prova. Facevamo tutte queste cose per dimostrare che siamo musicisti e cantautori capaci”.
UNA MARCIA INARRESTABILE
Dal mero punto di vista di noi popolo borchiato nessuno, almeno inizialmente, pensò di criticare il platter in questione. Il “Black Album” aprì un orizzonte totalmente nuovo, con la critica concorde dicendo che “I Metallica potrebbero aver inventato un nuovo genere”. Vero, a dirla tutta “Nothing else Matters” suonava alle orecchie come un corpo estraneo, visto che l’altra ballata “The Unforgiven” era più canonica, con le sue belle parti distorte. Ok, mancano quasi del tutto le sfuriate dei vecchi album ma diavolo, questo disco suonava da paura. Era più lento, ma nella sua lentezza era mastodontico. Soprattutto più lo ascoltavi, e più ti veniva voglia di ascoltarlo.
James con le liriche aveva fatto il salto di qualità, con una profondità mai toccata prima. Un mood sofferto, a tratti oscuro, come ad esempio in “The God that Failed”, canzone che parla di un Dio che ha fallito, incapace di curare i malanni delle persone. Un testo in cui Hetfield sputa il suo dolore per la morte della madre, stroncata dal Cancro dopo aver rifiutato le cure mediche in nome della religione. Un tema, quello della sua morte, che troveremo anche in “Until it sleeps” del successivo “Load”.
La band suonava, e bene. Lars senza eccedere faceva quello che serviva, finalmente preciso anche se continua anche qui l’assenza assoluta del Ride. Kirk dismette le solite scale, e con qualche nota in meno (e un uso non esasperato del Wah) dimostra di avere un certo buon gusto. Ma è Jason che in questo lavoro fa vedere a tutti di che pasta è fatto, specialmente in sede Live.
RIFLESSIONI DI MIC DJ
Il “Black Album” è un grande disco, che ha aperto le porte del Metal, quello potente, al mondo. Prima di lui nessuna persona non avvezza al genere si sarebbe mai sognato di prendere un album dei Metallica in mano. Ma come accadde in passato per altre bands, questo strapotere mondiale iniziò a far mal sopportare il lavoro alla frangia più conservatrice del popolo nero vestito. Purtroppo è sempre così, pare che al “metallaro medio”, permettetemi il termine, dia quasi fastidio che una dei gruppi maggiori del genere faccia presa sulla massa, uscendo da quella nicchia borchiata.
Lo stesso accadde ad “Appetite for Destruction” anni prima. Un album arrivato dalla strada e puzzolente di Whiskey che viene, quasi di colpo, ascoltato anche dalla sorella fighetta, complice magari i frequenti passaggi in radio e su MTV. Il “Black Album”, dopo alcuni anni, iniziò ad essere considerato il disco del tradimento, e non come semplicemente andrebbe preso: un lavoro schietto, sincero. Così schietto e sincero, così fatto bene da divenire un colosso, un capolavoro. Non c’è una canzone sotto tono, e alla fine “Nothing esle Matters” è una ballad come non se ne fanno più da decenni. Riascoltare il “Black Album” nel 2023 è un viaggio, un lungo trip fatto di immagini, di teste che si scuotono, di canzoni cantate a squarciagola con la “Air Guitar” in mano. Un viaggio che ci porta “Wherever I May Roam”, quel posto dove “Where a lay my Head is Home”.
Mic DJ vi saluta e vi da appuntamento qui in radio, tra articoli e tanta buona musica. Ora qualche consiglio per voi direttamente da Jolly Roger Radio.
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