I Black Code fanno parte di quelle band che a me piace definire ostinate, e coerenti. Vengono dalla Sardegna e ascoltare il loro primo omonimo lavoro è come sedersi su una DeLorean taroccata e tornare nell’Ottobre 1985, indietro nel futuro.
BLACK CODE, INDIETRO NEL FUTURO
Può sembrare un concetto astruso ai più, ma se ben ci pensate è tutto dannatamente sensato. Viviamo in un presente decisamente tappato, dove l’essere stereotipati è la norma. Lo è per tutti, inclusi noi tribù estrema dei seguaci del metallo. Come la goccia che scava lentamente e pazientemente la roccia, la società di oggi si è trasformata. Ha deciso cosa sia giusto o meno, dal trend da seguire alla musica che viene passata in TV, e di riflesso in radio. Nel mondo distaccato del metal non ce ne siamo accorti ma ci siamo infilati da soli, con le nostre mani, in una strada che porta all’appiattimento di tutto ciò che è il nostro background.
Ci vorrebbe di nuovo una tempesta perfetta come fu quella del Grunge ad inizio anni 90? Non lo so, ma questo appiattimento è iniziato con le case discografiche che decisero di uniformare i suoni delle band a contratto (chi ha detto Nuclear Blast?). Sembra ovvio, ma questo modus operandi ha livellato i generi, appiattito le differenze, banalizzato la musica. Sempre più spesso mi è capitato di sentire gente dire “Senti come suona sto cd” piuttosto che “Senti che bei pezzi sto cd”.
Ed ecco che il discorso di “indietro nel futuro” inizia ad avere senso, perché il distaccarsi da questo sistema, andando controcorrente proponendo qualcosa che suona diverso, è andare al futuro, anche se i richiami sono al passato.
I PERSONAGGI NEL PROGETTO
Un ottimo modo per divincolarsi da queste costrizioni sonore è seguire il panorama Underground, sia mondiale che nazionale. Per questo per il sottoscritto è sempre un piacere instaurare un dialogo con le realtà nostrane, dove si ha la fortuna di imbattersi in splendide persone, e di ascoltare dischi fuori dal tempo.
Anche questa volta noi di Jolly Roger Radio ci riteniamo fortunati, perché Marco Ricci ha deciso di contattarci per proporci i Black Code, la sua band. Nascono a Oristano nel 2013 come tributo Black Sabbath. Dopo aver calcato i palchi di tutta la Sardegna e dopo vari cambi di formazione, è arrivata anche la maturazione della band. Le cover iniziavano ad andare strette, da qui la decisione di iniziare a scrivere pezzi originali. Dopo una lunga gestazione i Black Code sfornano questo prodotto musicale dal sapore di acciaio barricato.
Lo stile della band è radicato nel metal dalle tinte puramente ottantiane, dove i quattro rocciosi componenti trovano la loro connotazione ideale. Andiamo a sentire cosa hanno combinato Marco Ricci alla voce, Claudio Carta alla chitarra, Maurizio Mura al basso e Giorgio Flo dietro le pelli.
BLACK CODE, L’ALBUM
Lo sciabordio delle onde ci accoglie, il temporale è ormai lontano mentre Leonida incita i trecento spartani alla battaglia. L’attacco di chitarre è secco e diretto, il riff mi porta alla memoria i Judas Priest del periodo eighties. “Immortalals” viaggia, sale e il primo solo mi lascia col sorriso stampato: bentornato caro Heavy Metal. La struttura del brano è quadrata, la batteria è rocciosa e precisa. la voce graffia come deve essere. Nemmeno il tempo di scapocciare che attacca la seconda “Under Attack”, altra bella sassata di puro Heavy anni ottanta suonato con stomaco e cuore. Il primo stacco con cori epici mi colpisce, perchè nella sua totale diversità da tutto ci sta davvero alla grande.
Una cosa ci tengo a precisare: quando mi appello all’Heavy Metal anni ottanta non lo faccio in maniera critica, anzi. I Black Code rappresentano un baluardo in un mondo di mode e stereotipi, ed è proprio da band di questa caratura che bisogna ripartire per riportare il Metal ai fasti che merita.
“Black Flag” si mantiene su un mood dal testo epico e dalla musica sempre molto quadrata, con un incipit marziale. Il drumming senza fronzoli è funzionale alla struttura del brano, dove dopo due giri di ritornello si apre un bridge davvero bello che introduce ad un solo di assoluto livello, preceduto dall’urlo degli spartani.
HEAVY SPARATO DRITTO IN FACCIA
La quarta “Lovemanimal” schiaccia il pedale e viaggia che è uno spettacolo. La sessione ritmica è una roccia, la voce si alza di tono mentre gli assoli sono sempre di un gran gusto, melodici e tirati alla perfezione. “Wrath of God” apre in maniera assolutamente maideniana, a cominciare dal gustoso intro di basso e continuando con richiami ai primi album della vergine di ferro. Una canzone strutturata ad arte, che ci conferma che i quattro ragazzi sono bravi e amanti del genere, perché altrimenti pezzi come questi non li componi semplicemente seduto ad un tavolino.
Dai Maiden ai Priest il passo è breve e la fantastica “But no one Calls” mi fa saltare dalla sedia. Il riff è degno di un album come “British Steel”, e se la mente corre a “Grinder” vuol dire che andavate bene a scuola. Una canzone da Horns Up, con chiodo addosso e maglietta stinta e sgualcita: c’è ancora speranza per il genere umano.
Il pezzo che da il nome a tutto, “Black Code”, ha tinte oscure a tratti illuminate dalle aperture melodiche dei bridge. Il finale si arrampica fiero su cori epici che ci guidano alla breve strumentale “Agony”, un arpeggio di basso con un cardio sound che finisce in linea piatta, giusto per portarci alla finale “Lord of the Cemetery”. Ottimo pezzo per chiudere un album a spigolo vivo, quadro come un cubo di porfido, un album di vero e schietto Heavy Metal, come quelli che ascoltavamo un tempo.
RIFLESSIONI DEL MIC
Se la sincerità è un pregio allora questi Black Code sono degli alfieri di questa filosofia. Hanno iniziato come cover band, un fenomeno tutto italiano che tanto piace ai gestori dei locali. Si sono accorti che questa dimensione stava loro stretta e sono passati dall’altra parte della barricata, ovvero quelli che suonano pezzi originali. Lo hanno fatto alla loro maniera, da veri appassionati del classico Heavy Metal di vecchia scuola, sia come songwriting che come sound.
In un periodo storico dove tutto viene livellato, stereotipato e uniformato è da band come i nostrani Black Code che bisogna ripartire, per riscoprire l’unicità e il sentimento di quello che si propone. Se cercate un disco nuovo di buono, sano e soprattutto sincero Heavy Metal allora questo lavoro fa per voi!
Mic DJ vi saluta e vi da appuntamento qui in radio, tra articoli e tanta buona musica. Ora qualche consiglio per voi direttamente da Jolly Roger Radio.
Reatzione – Tales of Grotesque
Our Garden Machine
roberto Geo il 20 Febbraio 2023
Grazie x questa ennesimo viaggio di scoperta verso le novità, sempre per non spegnere la curiosità e la sacra fiamma dell’arte che ha fame di nuove informazioni!