Sono ormai 50 anni che siamo sul lato oscuro della luna, “The Dark Side of the Moon”, ovvero da quel lontano 1973 in cui i Pink Floyd tirarono fuori dal cilindro l’album musicale più bello della storia. Di questo disco è stato detto tutto e di più, ma quando tocca il lato emozionale, merita sempre spenderci qualche parola.
IL LATO OSCURO DELLA LUNA
Questo album ha la mia età, anzi è qualche giorno più vecchio del sottoscritto. Ricordo perfettamente il giorno in cui lo acquistai: ero un ragazzetto di 13 anni che aveva iniziato a muovere i suoi passi nel magico mondo del Rock e del Metal. I Pink Floyd li conoscevo di nome, grazie a quelli di una generazione più grandi, che me ne parlavano sempre.
In un tiepido pomeriggio di inizio primavera entrai nel negozietto di fiducia, quel “Hot Point” sito in Via Monginevro a Torino, proprio a due passi da casa mia. Avevo appena fatto il compleanno, e nelle mie tasche c’era una discreta quantità di Lire. Avevo le idee chiare: le avrei investite in musica. Entrai e iniziai a sognare davanti alla parete delle musicassette. Presi subito “No sleep till Hammersmith” dei Motorhead, e poi chiesi al negoziante di consigliarmi un album dei Pink Floyd. Senza esitazioni, prese la cassetta di “Dark Side of the Moon” e me la diede.
QUEL LATO OSCURO CHE TI STREGA
La semplicità è un’arte. E c’è molta magia, oltre che arte, in quella semplice copertina. Uno sfondo nero, un prisma dispersivo, la rifrazione della luce. In così poco è racchiuso tutto. Messa la cassetta nel walkman si parte per un viaggio che ogni volta si ripete, anche a distanza di 50 anni. Un viaggio mai uguale al precedente, perché le sfumature e le differenze di calore percepite possono variare sempre e per sempre.
Una rappresentazione visiva del suono del battito cardiaco, prima cosa che si sente in “Speak to Me-Breathe”, una combo dove si capisce che sognare senza sonno è possibile. Si viene presi da una mano invisibile e si fluttua nello spazio tempo infinito. Il tutto sfuma e si avvolge nelle allucinanti spire di “On the Run”, vero e proprio viaggio mentale: fu proprio grazie a questo pezzo che mi innamorai della musica elettronica, mia altra passione oltre il Metal. Un lavoro immenso in un’epoca dove tutto era analogico, un mostro creato con un Synthi AKS, e una sequenza di otto note.
TEMPUS FUGIT
“Time”, una canzone che mi ha letteralmente ossessionato. Un colosso, musicalmente parlando. Un universo sonoro che ti porta alla pazzia. Ogni orologio all’inizio della canzone è stato registrato separatamente, il ticchettio è costante, trasmette l’ansia del tempo che scorre inesorabile. I rototom non fanno altro che amplificare questo senso di tempo che fugge, fino all’attacco vero e proprio del pezzo. La consapevolezza che la vita scorre via, l’unica salvezza è prendere il controllo del proprio destino. Geniale il reprise di “Breathe”, a fare da trait d’union al concept dell’album.
Concept che prosegue con un pianoforte sognante, e Wright era un mago nel disegnare sogni nel cielo col suo strumento. E poi c’è l’esplosione di Clare Torry, autrice di una prestazione vocale unica, che passerà alla storia e che nella storia resterà per sempre. “The Great Gig in the Sky” è come essere sparati di colpo nello spazio, per poi ricadere e risalire in un otto volante di emozioni.
IL LATO OSCURO DEI SOLDI
“Money” apre il lato B, ed è subito un colpo di genio assurdo. La canzone si apre con un set di effetti sonori di monete tintinnanti e registratori di cassa, sincronizzati su un tempo dispari. Ricordiamoci che era il 1973, e che per ottenere un risultato simile voleva dire lavorare di fino di taglia e cuci su nastro. Tutto questo insieme di Sound Fx, rigorosamente presi nella realtà, batte sette, ovvero è in 7/4. Lo si capisce nettamente quando entra il basso di Waters, e tutti gli altri a seguito. Un filler di batteria, dopo la metà, cambia tutto portando le battute al classico 4/4 per l’assolo. Un pezzo che deve molto alle radici del Blues, a conferma che tutto torna.
Il rumore dei soldi sfuma, un vociare sommesso ci porta ad un apice compositivo senza eguali. “Us and Them”, nei suoi sette minuti e quarantanove, dipinge un affresco di assoluta e inarrivabile bellezza con il solo uso delle note musicali. Un pezzo nato nel 1969 e messo via, quasi ad attendere l’occasione giusta per calare il colpo. Il ride della batteria tintinna lieve, mentre la voce ci racconta dell’ignoranza dell’uomo moderno, così preso dal farsi la guerra da aver smesso di comunicare. Il sax mi porta per mano in un vortice di emozioni così forti da lasciarmi sempre scappare quella lacrima.
IL VIAGGIO SENZA FINE
“Any Color You Like” è il proseguo del viaggio tra le tinte di quel raggio di luce scomposto che fa bella mostra in copertina. Il suo tempo un po Up fa da altare al lavoro magistrale di Wright al sintetizzatore, per l’occasione un VCS 3. Questo fu attrezzato con un lungo loop su nastro, per creare l’assolo ti tastiera, con quel particolare Up & Down.
Il seme della follia germoglia nel combo finale, partendo da “Brain Damage”, originariamente chiamata “Lunatic”. Si vede un’ombra in un angolo di questo viaggio pazzesco, ed è quella di Syd Barret. Sembra quasi che il cappellaio matto abbia trasferito il suo spirito, il suo genio assoluto e unico, nei componenti della band, dando loro l’estro e la lucida follia per scrivere gli ultimi due pezzi. Su questa “Brain Damage” ci aveva dato appuntamento proprio li, dicendo “I’ll see you on the dark side of the moon”.
“Eclipse” continua, sia idealmente che fisicamente, il precedente pezzo. Questa volta il narratore è Waters stesso, che ci porta esattamente dove tutto ebbe inizio, ovvero quel battito cardiaco che troviamo all’inizio. Un concept senza fine, come non ha fine un fascio di luce che si scompone e pare sparire all’orizzonte.
RIFLESSIONI DEL MIC
Per il sottoscritto “Dark Side of the Moon” è semplicemente il più bell’album musicale che sia mai stato composto. Anni dopo i componenti dei Pink Floyd, parlando dell’album, dissero che probabilmente “era l’album giusto al momento giusto”. Un lavoro che, pare incredibile, raggiunse il primo posto nelle classifiche di vendita solo negli States, e lo mantenne solo per una settimana. Negli altri paesi non riuscì mai ad arrivare davanti a tutti.
Nonostante questo, “Dark Side of the Moon” ha raggiunto 1.716 settimane di permanenza nelle classifiche Billboard. Conti alla mano, sono trentacinque anni. Un’immensità. E sono certo che questo numero crescerà, perché ora che spegne 50 candeline, è rientrato di nuovo in classifica, grazie alla nuova edizione in cofanetto.
“Non c’è nessun lato oscuro nella luna. In effetti, è tutto buio. L’unica cosa che la fa sembrare chiara è il sole”. Il sole, e questo capolavoro senza tempo, che vivrà per sempre, finché l’ultimo uomo non sarà morto.
Mic DJ vi saluta e vi da appuntamento qui in radio, tra articoli e tanta buona musica. Ora qualche consiglio per voi direttamente da Jolly Roger Radio.
Marisa il 13 Marzo 2023
Io avevo 12 anni!! …e ogni tanto per radio davano Time o Money ma non tutti interi ( che nervoso) poi finalmente ero riuscita ad ascoltarlo tutto con un mangianastri sgangherato di un mio zio ventenne 🤣🤣 probabilmente da una cassetta non originale ma registrata da lui chissà dove! Cmq ero piccola, facevo la prima media ma si percepiva che era nato qualcosa di musicalmente grandioso e insuperabile. Bei tempi !