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Concerti

Opeth Live @ Milano – Recensione

today10 Ottobre 2022 118 3

Sfondo
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Il 27 settembre 2022 si sono esibiti gli Opeth in quel di Milano, con di spalla un gruppo di tutto rispetto, ovvero i The Vintage Caravan. Il nostro inviato Mr.Fulvio Eynard era li, e ci racconta come è stato il concerto.

OPETH & THE VINTAGE CARAVAN

Il concerto si è tenuto al Teatro degli Arcimboldi, il teatro più recente presente nell’hinterland milanese. Iniziato nel 1997 e terminato nel 2002 nella nuova zona Bicocca, trae il nome da una villa della famiglia Arcimboldi. Questo teatro è praticamente una copia della Scala, sia per dimensioni del palcoscenico che per capienza. E’ suddiviso in tre volumi: foyer, sala e palcoscenico, con una capienza di 2.346 posti suddivisi tra platea, platea alta e due gallerie.

Opeth

Come avete già capito è una location atipica per la tipologia dell’ evento. Metallari in divisa ordinatamente seduti, con solo teste che scuotono perché non si poteva fare di meglio. Di contraltare l’acustica è ovviamente eccellente, con volumi “importanti” ma perfetti, rotondi e gradevoli.

INIZIA IL CONCERTO

Come precisato poc’anzi, spetta ai The Vintage Caravan aprire le danze. La band descrive il loro stile e il loro suono come “Hard rock classico degli anni ’60 e ’70 con un’attitudine potente e un tocco moderno”. Questa giovane band nord europea fa parte di quell’infornata di nuove leve che propongono uno stile “vecchio”, a partire dalla formazione “power trio”, a finire con la proposta musicale. Ragazzini che suonano musica tornata di moda, ma decisamente fuori contesto musicale rispetto agli headliners. Tralasciando questo dettaglio, il trio è solido, con ottima presenza scenica: 45 minuti di musica “vintage” suonati bene e “con le palle”. Escono tra gli applausi convinti dei presenti, che non erano sicuramente li per loro: decisamente un ottimo risultato.

OPETH, E VIA IL CAPPELLO

Opeth

Prima di proseguire con la recensione del concerto, mi preme dire una cosa: ho odiato la svolta “progressive” della band. Si è vero, mi diranno molti di voi, già su Watershed i segnali erano presenti, ma erano ancora i “vecchi Opeth”. E questa svolta la ho trovata nemmeno lontanamente all’altezza di quella gemma che è “Damnation“, disco da tramandare ai posteri. Dal 2011 i loro concerti si concentravano ormai sulla parte “prog” della loro carriera, le cupe atmosfere più death metal erano state messe in soffitta… fino a questo live.

Allestimento palco minimale: fondale con il nome del gruppo e potenti giochi di luci led. Due ore e dieci minuti di concerto di una potenza devastante. Il cosidetto “wall of sound” fa impressione, col nuovo drummer Waltteri Väyrynen (Ex Paradise Lost) arrivato ieri ma che sembra nato con la band: preciso e potente. La doppietta di apertura è micidiale: “Demon of the fall” e “Ghost of Perdition”. Mikael Akerfeldt stupisce per la facilità disarmante con cui passa dal growl al pulito, suonando contemporaneamente la chitarra.  Negli ultimi anni live, prima della svolta prog, iniziava a sentirsi della ruggine, probabilmente andata via grazie a dieci anni di clean vocals. Glielo diciamo tutti in coro: bentornato!

Opeth

Tutta la scaletta stupisce favorevolmente, pescando molto dal passato: solo un brano dall’ultimo “In Cauda Venenum”, che dal vivo sicuramente ci guadagna. Simpatico il siparietto finale: la band rientra per i bis e dopo “Sorceress”, inizia un siparietto in cui il leader chiacchierando coglie i titoli richiesti dal pubblico. Inizia così una serie di “snippet” in modalità “semi-austica” di alcuni brani, prontamente interrotti da battute tipo “sorry, ma non ricordo il testo” oppure “non ricordo come continua”.

Personalmente mi ha lasciato l’amaro in bocca l’ultimo di questi frammenti, perché dopo la domanda del leader al nuovo drummer “questa la sai?”, e dopo l’attacco di batteria che non lasciava dubbi, hanno iniziato in modo serio e potente “Master Apprentices”, autentico pezzone. Mi sono detto “Dai che la fanno!” ed invece… stop! Pazienza, si chiude con “Deliverance”, e che chiusura! Ovvia e meritata standing ovation e si torna a casa.

SCALETTA DEL LIVE

1 Demon of the fall (My Arms, Your Hearse)
2 Ghost of perdition (Ghost Reveries)
3 Hjärtat vet vad handen gor (In Cauda Venenum)
4 The Leper Affinity (Blackwater Park)
5 Reverie/Harlequin forest (Ghost Reveries)
6 Nepenthe (Heritage)
7 Hope leaves (Damnation)
8 The devil’s orchard (Heritage)
9 The Lotus Eater (Watershed)

Encore

10 Sorceress (Sorceress)
Snippets: The Moor, Benighted, Face of Melinda, Windowpane, Harvest, Bleak, Master’s Apprentices.
11 Deliverance (Deliverance)

Opeth

RIFLESSIONI DEL MIC

Leggo e rileggo la scaletta, e bestemmio. Non presi nemmeno in considerazione di andarli a vedere, convinto avrebbero fatto un live completamente incentrato sui pezzi dell’ultimo decennio. Ma no, gli Opeth mi tirano fuori Demon of the fall, Leper Affinity, Ghost, Harlequin forest, Damnation. E io bestemmio. Ho sempre considerato gli Opeth la miglior band degli ultimi 30 anni, fino al 2010 non butto via una nota della loro discografia densa, così piena da trovare il riff, la sfumatura mai colta in brani che ascolto da oltre 20 anni. Ogni ascolto di un loro pezzo è come fosse la prima volta, lascia in silenzio l’ascoltatore, disarmato.

Ha fatto bene il mio amico Fulvio a puntare su di loro, anche se lui, da amante del progressive, avrebbe vinto la scommessa in ogni caso. Ho fatto male io a non pensare che da loro, anche oggi, ti puoi aspettare di tutto. Anche un album che ritorni alle sonorità del passato. Vi sto aspettando…

Ancora grazie a Fulvio per il dettagliato resoconto live! Mic DJ vi saluta e vi da appuntamento qui in radio, tra articoli e tanta buona musica.

Scritto da: Mic DJ

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Commenti post (3)

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  1. Alessio Marsigli il 10 Ottobre 2022

    La ricerca progressive degli Ophet ora eccelle ma ahimé ora scade.
    Eccelle quando la loro musica é effettivamente ispirata ed evoca nell’ascoltatore quel tessuto sonoro immaginifico ed evocativo che molti amanti del genere adorano sentire.
    Scade quando troppo speso la band si inerpica in melodie suonate all’unisono senza ne capo ne coda, queste interdicono e sputano letteralmente sul buon seminato. Della serie… Come lo gesriamo questo passaggio da questa atmosfera a quelll’altra? Ma si…suoniamo per un paio di battute una scala alla stracazzo che ci porti la… Amen

    • Mic DJ il 11 Ottobre 2022

      Impossibile darti torto. Non ho odiato questa loro svolta per partito preso, ma dopo aver ascoltato con passione ed attenzione anche i dischi “prog” della band. E li ho trovati troppo spesso fine a loro stessi, senza capo ne coda. Quasi un mero esercizio.

  2. roberto Geo il 10 Ottobre 2022

    Wow una descrizione che ci ha trasportati davvero la. Sempre ragionata nel modo in cui ci hai abituato e che tanto ci garba!grazie a tutti


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