Parlare di un disco dei Thunder è, per un amante della musica rock in ogni sua sfumatura, una gioia. Questa ormai longeva band inglese appartiene a quella categoria di gruppi che quasi nessuno, almeno in Italia, si fila (per non essere volgare), ma che non ha mai sbagliato un album. Facciamo un po di luce su questo gruppo e sulla loro ultima fatica.
THUNDER FROM LONDON
Come si evince dal titolo, i Thunder si formano in quel di Londra nel 1989. Non perdono tempo e il loro debut album “Backstreet Symphony”, esce nel 1990 lasciando la critica a bocca aperta. Prodotto dall’ex Duran Duran Andy Taylor, è ad oggi considerato uno dei più grandi debutti hard rock di tutti i tempi. La band dimostra di non essere un fuoco di paglia col il secondo album “Laughing on Judgment Day” del 1992. Il lavoro si piazza subito al secondo posto nella UK Albums Chart, prendendosi in breve tempo un più che meritato disco d’oro.
La terza fatica della band esce nel 1995 e si intitola “Behind Closed Doors”. Siamo in un periodo di decadenza per rock & metal: il grunge domina la scena. Ma per i Thunder non è un problema, visto che sfornano un album da lasciare a bocca aperta. Le canzoni suonano intrise di melma, seppur mantenendo una vena melodica in mezzo a quei vapori sulfurei. Un ottimo quinto posto ne decreta il successo mondiale.
Passa poco tempo e nel 1996 la band sforna il quarto album, intitolato “The Thrill of It All”. Questo album all’epoca fu il primo loro lavoro senza grossi picchi compositivi, anche se risentito oggi risulta ancora attuale. “Giving the Game Away”, del 1998, è un lavoro più melodico, a tratti davvero easy ma non per questo brutto.
Cinque ottimi album non permisero ai Thunder di avere qualche solido contratto discografico, il che portò la sofferta decisione di sciogliere la band. In alcune interviste dell’epoca si può leggere che “Stiamo trovando sempre più difficile trovare una casa discografica che ci permettesse di incidere”
REUNION E TRITTICO DELLE MERAVIGLIE
Dopo qualche anno di silenzio, la band annuncia una reunion per partecipare la Monster of Rock del 2002. Nel frattempo, al chitarrista Luke Morley balenò l’idea di incidere un nuovo album. Il singer Danny Bowes fu subito contrario alla cosa, almeno finché non avesse terminato di fondare la propria etichetta discografica STC Recordings. Bowes spiegò che “STC sta per Straight Talk Company, perché ogni cosa, che sia buona o cattiva, te la dico direttamente”.
In soli due mesi la band incise “Shooting at the Sun”, disco tanto meraviglioso quanto snobbato dal pubblico. Il loro miglior lavoro dal secondo album del 1992, con una “Blown Away” che da sola merita l’acquisto del platter. La band era di nuovo in pista, per nulla preoccupata dal sonoro insuccesso commerciale. Si presero un paio di anni per suonare in giro per l’Europa e, nel frattempo, scrivere nuovi pezzi.
Fu cosi’ che nel 2005 esce “The Magnificent Seventh!”, disco stratosferico che stupì anche la critica, la quale affermò che “I Thunder sono una band vera, non come le vecchie bands Hair Metal che tornano al vecchio sound solo perché tornato di moda”. Il singolo “I Love You More Than Rock n’ Roll” scala le classifiche dei singoli, descritto metaforicamente come “a hard-hitting giant but with fists of steel and cast iron balls”. Ma il meglio doveva ancora venire.
VELENO, WHISKY E UNA PROSTITUTA
Infatti, il 30 Ottobre del 2006, vede la luce quel capolavoro inarrivabile intitolato “Robert Johnson’s Tombstone”. Narra la leggenda che l’album ebbe una genesi piuttosto casuale. Luke Morley stava tornando a casa, a notte inoltrata, in auto, ascoltando un programma sul blues di Radio 2. Lo speaker stava parlando del musicista blues Robert Johnson, e lo stesso Luke ci spiega “Stava raccontando storie di una bottiglia di veleno, una bottiglia di whisky e una prostituta coinvolti nella sua morte. Ho immediatamente pensato che questo era dannatamente rock ‘n’ roll! Così sono tornato a casa e ho iniziato a fare ricerche su Johnson, e da lì è nato tutto”.
La title track, scritta in poche ore, contiene testi riferiti alla misteriosa morte di Johnson. Morley ricorda che “tutti gli ingredienti della sua storia, veri o falsi, la rendono fantastica da raccontare e abbellire”. L’album in questione affonda le sue radici della musica blues, suona sexy e sporco come una bettola del Delta, a tratti triste e malinconico, perché non ci può essere blues senza quelle atmosfere.
Dopo un masterpiece del genere la band fece uscire alcuni EP e annunciò lo scioglimento ad inizio 2009, dopo l’uscita del nuovo full lenght “Bang!”: troppi gli impegni personali per le ore disponibili durante una giornata.
GIORNI NOSTRI E DOPAMINE
Nel 2015 la band riprese a suonare insieme e a sfornare album sempre di primissimo livello. “Wonder Days”, “Rip it Up”, “Please remain seated” e “All the right Noises” sono stati tutti album che hanno raggiunto subito e scalato la top ten inglese. Ci sono band che riescono in questa impresa un paio di volte in carriera, per i Thunder è la prassi. Arriviamo così all’ultimo lavoro, intitolato “Dopamine”. Che cos’è la dopamina? E’ una molecola organica, appartenente alla famiglia delle catecolamine, che nell’encefalo di esseri umani e altri animali ricopre l’importante ruolo di neurotrasmettitore. I Thunder scelgono questo nome come una denuncia dalla moderna dipendenza da social e simili, e per stimolarci il cervello escono con un album doppio!
THUNDER – DOPAMINE DISK 1
La band non è una da fronzoli, perciò non perde tempo, aprendo il lavoro con “The Western Sky”, canzone che ci lascia subito seduti per terra: groove a manetta, il sound è spettacolare e la melodia c’è dove serve. Non mi stupisco, perché questa band mi ha abituato a livelli compositivi altissimi, che solo il mainstream non ha mai considerato. La seguente “One Day We’ll Be Free Again” alza ancor di più l’asticella, con una partenza dal sapore southern e un’esplosione di cori, riff e melodia che annichilisce: questo è rock signori! Sono preoccupato, nel senso che mi chiedo se riusciranno a mantenere questi livelli per ben sedici pezzi, otto per cd.
“Even If It Takes A Lifetime” mi tramortisce, con chitarra acustica e slide: ho sete, devo bere. Questi il demone del blues lo portano al saloon tutti i giorni per fare pezzi simili. “Black” parte con un basso quasi floydiano al quale si aggrappano riff e cori epici. L’incipit e la cupezza del pezzo mi richiamano alla mente perfino i primi Kyuss. La seguente “Unraveling” ci lascia il tempo di rifiatare: una ballad acustica d’altri tempi che in più di un frangente mi ha ricordato qualcosa dei Pink Floyd sporcati dalla sabbia del deserto.
“The Dead City” apre “Alla Cult” vecchia maniera, lasciandomi con ancora più voglia di bere. Un pezzo intelligente, più easy degli altri, messo nel giusto posto, nel giusto momento del CD: anche questo è mestiere. “Last Orders” è un pezzo atipico per i thunder, con la sua apertura acustica e il suo procedere a ritmo serrato, fino all’esplosione del ritornello e del solo, roba da intenditori. Chiude il primo CD “All The Way”, un pezzone da stadio che il 90% delle band sogna di scrivere almeno una volta, mentre loro la buttano li, alla fine del primo disco.
THUNDER – DOPAMINE DISK 2
Io sinceramente sarei già contento dopo un primo disco di quel livello, ma ora son curioso di capire in questo secondo disco cosa ci abbiano ancora messo dentro. “Dancing In The Sunshine” mi da la prima risposta, ovvero un riff aperto, quasi Stones, con un pianoforte sornione ad accompagnare e la voglia di mandare affanculo il mondo che sale. “Big Pink Supermoon” mi manda fuori, perché ci vuole stile, classe e buon gusto fuori dall’ordinario per fare un pezzo simile. “Across The Nation” mi fa battere la testa, con un riffone che prende Wild Flower e lo riporta ai tempi moderni. Il pezzo prosegue con parti in slide e un ritornello che annichilisce.
Ora la domanda me la faccio, e la faccio anche a voi: ma come cazzo è che una band simile non abbia raccolto il successo che meriterebbe da sempre? Il music businness è veramente merdoso a volte: vediamo 4 bocia costruiti ad arte essere idolatrati come i nuovi Led Zeppelin, mentre gruppi mastodontici come i Thunder li conosce solo chi ha davvero passione per la musica. “Just A Grifter” mi riporta per un attimo sulla terra: una ballad totalmente ascustica che con le dovute proporzioni mi ricorda la tristezza di Vermillion.
Si va avanti lisci con “I Don’t Believe The World”, batteria e piano, arriva la voce, ogni quattro si aggiunge un arrangiamento, per arrivare alla distorsione amica. L’assolo di chitarra forse è il più bello dell’intero doppio lavoro. Questo pezzo ci accompagna a “Disconnected”, un cadenzato pazzesco, intriso di anni settanta, a tratti profumato con venature southern alla Molly Hatchet. La penultima “Is Anybody Out There” è un duetto pianoforte voce che piacerà agli amanti del genere, e ci accompagna alla fine del secondo cd, dove troviamo “No Smoke Without Fire”, che parte piano, quasi in ombra, per poi aprirsi in un hard rock con accordature basse che si intreccia in assoli blues.
RIFLESSIONI DEL MIC
Che sudata ragazzi: questo lavoro dei Thunder è, a mio parere, da annoverare tra i capolavori della band. Un doppio cd, sedici pezzi, che volano veloci come la luce, ognuno con la sua sfumatura, col suo profumo. Ognuno una storia a se ma che concorre nel creare un lavoro coeso, tosto, hard rock. E’ difficile firmare tutti questi minuti di musica senza mai scadere nello scontato, senza buttarci un filler che sia uno.
Spero che, con questa recensione – retrospettiva, vi sia salita la sana curiosità di ascoltare questo disco in primis, e poi i restanti lavori di questa band. Meritano molto di più di quello che hanno raccolto fino ad oggi, molto più di molte band esistenti o meno che, sfruttando l’onda delle mode, hanno guadagnato fama e gloria. Qui tutto quello che troverete è sudore, sangue e hard rock, di quello senza tempo, senza mode.
Mic DJ vi saluta e vi da appuntamento qui in radio, tra articoli e tanta buona musica. Ora qualche consiglio per voi direttamente da Jolly Roger Radio.
DEF LEPPARD – Diamond star halos
Roberto Paolo il 18 Luglio 2022
Anche questa volta.. Curiosità che non sapevo… E tanta voglia di risentire tutto. Grande lavoro! Resoconto puntuale e lucido di una grande band. Grazie